La squilibrata, di Juliet Escoria (Pidgin Edizioni)
Si presenta come romanzo ma in realtà viene raccontata l’adolescenza di Juliet Escoria, una adolescenza difficile passata attraverso una diagnosi di bipolarismo di tipo I, gravi incidenti di autolesionismo, assunzione di droghe, tentativi di suicidio.
Juliet ha 15 anni e abita in California. Ha una amica del cuore con cui passa le giornate a sentirsi “fica”, anche se questo vuol dire tagliarsi con le lamette. Anche se questo vuol dire crearsi una pipa con carta stagnola.
Ha sempre 15 anni quando inizia le scuole superiori e quando iniziano pure le allucinazioni: vede volti come uccelli, ombre nere che si ammassano e si incollano dando vita a forme strane, immagini di teschi, lacci brillanti che escono dalla schiena dei suoi amici, rumori devastanti. A scuola inizia ad andare male, inizia a non presentarsi nemmeno. I genitori sono fuori di testa.”Non so neanche più chi sei. Non sei mia figlia. Sei una delusione”.
Girando da uno psicoterapeuta all’altro, da uno psichiatra all’altro le viene diagnosticato un bipolarismo di tipo I. E le vengono prescritti dei farmaci. Da quel momento le verranno prescritti sempre più farmaci, a dosi sempre più alte, per alcuni dei quali non ci sono studi a sufficienza su efficacia e sicurezza. Juliet cambia scuola, cambia amici, cambia droghe. Non è più la “fica” di Santa Bonita, è una adolescente strafatta che partecipa a feste in chiese sconsacrate e brucia bibbie, rompe vetri, fuma e si fa. Tenta il suicidio.
A 16 anni viene trasferita infine in una scuola di recupero, la Redowood Trails School, che si ritroverà a chiudere i battenti 2 anni dopo per problemi legali, violazione di regolamenti, uso improprio di farmaci su prescrizione (che i ragazzi utilizzavano al posto delle droghe per farsi praticamente sotto gli occhi di tutti) e molestie sessuali da parte dello staff. Eppure al termine dell’esperienza Juliet esce con una speranza: quella della grazia.
“I tuoi obiettivi? Lasciare la RTS. Rimanere lontana dai guai. Rimanere sobria. Essere felice. Diplomarti alle superiori e andare al college. E, nel complesso, rimanere viva.”
È una confessione quella di Juliet Escoria, una pena che esce a flutti dalla sua scrittura e che le è servita per cercarsi (ri-cercarsi) capirsi, conoscersi. È una pena anche per noi leggerla: durissima in alcuni punti, quasi insostenibile in altri (pochi, per fortuna). Un libro comunque importante per cercare di capire cos’è la malattia mentale, per indagare il disagio esistenziale, per provare a entrare nell’inferno di un’altra persona.
“Solo che iniziai a piangere, per la frustrazione di non essere in grado di essere qualcun altro”
“Poiché mi ero comportata nel modo sbagliato, ero stata cambiata con qualcuno di più conforme”
“Certo, mi sentivo drogata e spenta, ma era comunque meglio dell’Altra Cosa. Ma sotto la coperta della medicina mi sentivo ancora triste e vuota”
“Ma la maggior parte dei problemi delle altre ragazze derivavano da cose che potevano essere facilmente definite, cose che accadevano al di fuori di loro e rendevano facile vederle come vittime []. Neanche una parlava di cosa si provasse quando sei l’unico trauma di te stessa. Non volevo morire. Desideravo essere un vuoto, non una persona.”
Recensione di Benedetta Iussig
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