NAJA TRIPUDIANS, di Annie Vivanti
«Guardi» diceva il vecchio scienziato, curvo sopra una gran boccia di spirito che un enorme cobra riempiva dei suoi sinuosi avvolgimenti: «è questa la più formidabile e la più funesta delle colubridi; questa, la subdola e silente apportatrice di morte, dal bel nome femmineo: Naja tripudians! […] il primo effetto del veleno […] è uno strano senso di ubriachezza; la vittima inciampa e traballa come se fosse ebbra. Poi ammutolisce, per paralisi della lingua e della laringe […] e cessa il respiro. E lo sventurato è morto; ma il suo cuore batte ancora…» (p.123)
Il vecchio scienziato è Francis Harding, un medico specializzato nello studio sulle cure contro i veleni dei serpenti tropicali e su eventuali rimedi alla lebbra, malattia che aveva visto svilupparsi nei suoi viaggi ai tropici e nella persona di un suo caro amico. Un senso di impotenza e di enorme sofferenza lo affliggerà per tutta la vita per il suo mancato contributo a sconfiggere questi mali. Il poveretto, rientrato in Inghilterra, si sposa, ma la giovane moglie muore all’età di ventiquattro anni dopo aver dato alla luce la loro seconda figlia. Francis Harding vive in una casetta sperduta nelle campagne dello Yorkshire, con le sue due figliolette, Myosotis e Leslie, oltre a Jessie, l’affezionata, ormai anziana governante. Le ragazze crescono innocenti e pure, biondissime e meravigliose creature «fuori dal mondo lontano dalla vita, come un ruscello argenteo in un paese lunare.» (p. 33) La loro istruzione è limitata e provinciale, un guscio perfetto per sviluppare il loro candore e mantenere intatta la loro innocenza.
Del mondo fuori, della società infetta e corrotta del primo dopoguerra non sanno proprio niente, ma nemmeno il padre, o la maestra della scuola e tanto meno la vecchia Jessie. E così le povere creature vengono consegnate in mano alla terribile Lady che le invita nella sua lussuosa dimora per far divertire i suoi amici depravati, annoiati e dediti ad ogni sorta di vizio. La narrazione s’interrompe dopo che la piccola Leslie è già stata stordita dall’alcol e dalle droghe, quando la sorella riesce a scappare in cerca di aiuto. Purtroppo, nonostante sia riuscita a trovare un ‘policeman’ non riuscirà più a trovare la casa e tanto meno a salvare la sorella. L’autrice ci risparmia l’atroce descrizione di cosa sia stato fatto alla bambina, ma un episodio precedente ne indica tutte le sfumature e le crudeli nefandezze.
Questi signori dell’alta società si divertono a somministrare la droga al gatto e a vedere come reagisce soprattutto quando va in calo. È proprio quello che il giornalista Wilmer, in visita dagli Harding, tenta di dire al padre sprovveduto, troppo assorto nei suoi studi, per rendersi conto di ciò che accadrà alle figliolette, prossime alla partenza per Londra, dalla terribile Lady:
«Pensavo, mentre lei parlava della Naja egiziana, alle vipere umane che amano mordere nelle carni pure, avvelenare le anime innocenti! Pensavo alle ‘naje’ sociali delle nostre grandi città, di cui è tripudio il contaminare e corrompere ciò che ancora di candido, di sano e di sacro è nel mondo…» (p. 123). “Naja Tripudians” è un romanzo di Annie Vivanti, pubblicato per la prima volta nel 1920 dalla casa editrice R. Bemporad & figlio; è un romanzo denuncia di una società malata, specchio della corruzione e della malavita, che l’autrice conosceva bene. Nata a Londra da padre italiano, il patriota e garibaldino Anselmo e da madre tedesca, la scrittrice Anna Lindau, Annie Vivanti imparò prima dell’italiano, l’inglese e il tedesco.
A otto anni scriveva versi in entrambe le lingue, dicendo che l’inglese era la lingua delle sgridate e il tedesco la lingua dei sogni. A nove anni venne in Italia, a venti aveva già molto vissuto e viaggiato. “Destino di zingara e di fata – scriveva Giuseppe Antonio Borgese, scrittore, germanista e critico letterario – venuta su dall’incrocio di razze discordi, emersa da un flutto spumeggiante di emozioni fantastiche, senza patria, senza domicilio, senza legge…”. Come sottolinea Cesare Garboli nell’introduzione al romanzo, un po’ tutti i letterati di allora se ne innamorarono. E per dirla con Benedetto Croce: “la Vivanti ebbe Carmen nella fantasia. E volle essere la poetessa del capriccio, della passione fulminea, violenta e fuggevole, che si dà per quel che è, senza reticenze e scrupoli e contrasti morali”.
I romanzi che scriveva erano ‘osé’ ai suoi tempi, affrontavano problemi di violenza contro le donne, di morale pubblica e sociale, come il vizio, la droga e la corruzione dei minorenni. Una narrazione semplice e sorprendente. Che si avvale dei contrasti e cattura il lettore con il suo ritmo fluido e trascinante. “Naja Tripudians” non credo nemmeno sia facile trovarlo in commercio. Forse in qualche libreria dell’usato. O su Amazon. A me è capitata una copia per caso, con tutte le pagine che si staccavano. Avendo di recente fatto un trasloco è riemerso alla luce. Ecco a cosa servono i traslochi: a leggere i libri dimenticati!
Recensione di IO LEGGO DI TUTTO E TU? di Sylvia Zanotto
NAJA TRIPUDIANS Annie Vivanti
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